martedì 16 giugno 2015

L'angolo invisibile.

Da pochi minuti ho lasciato il mio involucro notturno e nell'aria c'è odore di foglie bagnate.

Corro al mio treno, sono in ritardo.
Intorno a me come sempre facce stanche nascoste bene dal trucco si alternano ad occhi semi-chiusi mascherati da enormi occhiali da sole con dita che scorrono già velocissime sui vetri degli smartphone.
Poi il gioco che fanno tutti: immaginare le vite altrui.
Perchè nell'era delle app che riconoscono gli sconosciuti, a me piace ancora immaginare soltanto i loro nomi, capire il loro lavoro dalle mani e cose così.
Uomini in doppiopetto che nel taschino ci infilano un tessuto scadente al pari dell'ego, lasciando alla tasca interna il posto per le insicurezze che non possono mostrare. La cravatta ha in ostaggio tutte le loro ambizioni da multinazionale.

Hanno paura di fallire.
Mostrano la loro insicurezza con un tono di voce da televendita con l'entusiasmo da materassi.

Poi uno si scusa per il ritardo, il treno ha dei problemi tecnici ed è fermo in un posto che somiglia a come immagino io il futuro, tra cent'anni tipo.
Palazzi grigissimi, gru ferme con carichi sospesi e automobili scolorite, ferme lì da chissà quanti anni, tipo Ken Shiro.
Vedo immagini di una quotidianità che ci svuota dall'interno e gratta sulla porta della felicità, senza riuscire mai ad entrare.
Una bambina si lancia verso la madre, i colori sgargianti della gonna stonano rispetto al viso stanco della donna, che però l'abbraccia forte e sorride come non pensava di fare vista la levataccia.
Il mio angolo sembra invisibile, non che mi dispiaccia eh, è invisibile di proposito.

Nel mio taschino ho messo un blocchetto ed una penna.
Bill Evans porta su e giù i miei pensieri come archi da acquedotto romano e si piantano al centro della mia mente con la mano che fluidamente annota cosa c'è da riordinare nella mente.

Sono in ritardo.
Chissenefotte, in realtà non sono qui.
Oggi è tipo il 1961, sono a New York al Sunday at the Village Vanguard e sul palco c'è il Bill Evans Trio.
Si sente anche il pubblico che discute durante il concerto, che applaude, si emoziona e vive.
E in un angolino ci sono anch'io, invisibile ovviamente.





Bill Evans Trio - Sunday at Village Vanguard [1961]