sabato 19 dicembre 2015

Se guardi giù

Ho dormito la solita manciata di ore, il caffè è freddo, lasciato sul tavolo in cucina da qualche ora.
La casa è vuota, probabilmente l'ispirazione deve esserle venuta guardandomi riposare un po', avvolto nel piumone e chiuso in un guscio di malinconia.
Questi giorni sono sempre stati così, portano via più di quello che ti danno.
Ho imparato a combatterli con dei trucchi da illusionista, mascherando ogni segno, ogni linea che la vita sta scalfendo a crudo sulla mia pelle,  mostrando solo il profilo che si può definire vivo. O meno morto. 
Ha un bel sorriso costruito negli anni, ogni botta presa lo rende più bello e credibile. Indossa un bel vestito, i capelli sono in ordine ed ha delle scarpe così luccicanti che farebbero invidia a Fred Astaire. Dietro di lui c'è uno specchio. Mostra tutto quello che da solo non riesce a vedere. Al centro della sua schiena c'è un buco largo quanto un piatto da antipasti, i vermi gli stanno divorando le viscere ma lui continua a sorridere come se tutto fosse nella norma.
Opposte allo specchio ci sono delle tele che sembrerebbero le ninfee di Monet.
I riflessi della campagna francese sono come opere di verità. Somigliano quasi a lui, adagiate sul pelo dell'acqua, saranno salvezza ma mai casa per tutti gli abitanti di quello specchio d'acqua così blu da far venire i brividi se guardi giù.






lunedì 14 dicembre 2015

Un nome semplice

C'è sempre una luce accesa in quel tetto lì difronte, ha praticamente il mio non ritmo biologico se penso a quanto usi la luce.
Passeggia per la stanza con un libro come se stesse ripassando un esame, è nervoso e mangia nervosamente il tappo credo di una Bic.
Mi diverte da un paio di sere immaginare il suo nome, forse più semplice dell'esame che l'attende.
Non volevo spiarti, semplicemente ho notato il maglione rosso, troppo rosso per averlo comprato da solo. Probabilmente è un regalo di qualcuno, che metti al massimo perché è molto caldo e con questo freddo è meglio coprirsi bene amico mio.

Avevo proprio bisogno di un po' di compagnia, va bene anche se resti lì a ripetere chissà cosa eh, a me basta vedere il tuo maglione rosso.
Stasera ne ho proprio bisogno, la mia parete è piena per metà e vorrei riempirla di cose che un giorno farò oppure ho fatto un giorno, e scusa il bisticcio ma quello che scrivo ha bisogno di ritmo per riuscire a tambureggiare sui vetri sporchi che ci separano.
Non vedermi come un delirante, pensami solo come uno che ha bisogno di parlare con qualcuno, tanto per farlo, tanto per tirare fuori un pensiero ad alta voce. Tutto questo solo per un fottuto maglione rosso.
Torniamo a noi, come ti chiami,chi sei? Non ti piace parlare eh?
Io chi sono? Io ero, ora non so. Ho gli occhi tristi e spalle rotte. Questo so.
Ho proprio bisogno di spegnere la luce stasera, prima di te. Fascio le spalle e vado a letto, forse ci vedremo domani. Penserò al tuo nome. Secondo me uno semplice, uno da maglione rosso.





venerdì 6 novembre 2015

Parole disperse in lista

Se metto insieme tutte le parole scritte su ogni pezzo di carta, post-it, retro di una bolletta, scontrino, biglietto dell'autobus, pacchetto di sigarette, zaino, portapenne, muro di scuola, porte dei bagni, cancello elettronico, pallone, braccia, specchio, bottiglia, chitarra, gesso, fotografia, lavagna, diario, armadio e casco: esce fuori la storia della mia vita.

Una storia un po' confusa, piena di frammenti dispersi dopo una caduta che non sembrava così alta.
E chi se l'aspettava di avere tutti questi pezzi.
Alcuni sembrano piccolissimi, ormai sembrano quasi dispersi nelle fughe tra una mattonella e l'altra.

Altri, invece, rifrangono ancora un raggio di luce che somiglia al tuo.
Ti affacci, curioso, per guardarli meglio. Sembrano scheggiati. Ma sono tuoi.

Come al solito non sono arrivato ad una soluzione per gestire la riparazione, vorrei solo ricompormi pezzo per pezzo senza sentire dolore per ogni  punto di saldatura.
 .

Frammenti - Franco Battiato

martedì 20 ottobre 2015

Cose microscopiche

Stasera non sembra una di quelle sere fatte per dormire.
Non so ancora bene cosa fare, per questo sono qui a parlarne, è come se cercassi l'ispirazione sempre strada facendo, senza rischiare che rigidi schemi interferiscano con il mio essere.

Sarà un enorme difetto mi sa.
I più strani sono quelli che riescono a sapere già tutto della loro vita: quando si sposeranno, quando saranno genitori, quando imprenditori di successo.

Beh io non so come si vive così ma nella mia ignoranza un po' li invidio, vorrei saper calcolare proprio come loro, tutte le traiettorie degli oggetti pericolosi che incontrerò nella mia Odissea nello spazio della fottuta vita.

Ma forse preferisco l'ignoranza sai? Non per forza bisogna saper fare tutto, è così noioso.

Io voglio svegliarmi domani e non sapere se sto vivendo bene ogni attimo della mia vita, cercando nelle cose microscopiche attimi di felicità che mi permetteranno di compiere le azioni giuste.

Per me la felicità è un mezzo, non un fine.

Il fine è piantare e raccogliere quelle cose microscopiche ogni giorno.




Miles Davis - Smoke gets in your eyes

martedì 13 ottobre 2015

Statistiche alla mano


- Tu hai paura!
- Ma chi io? Tsk, non c'ho un cazzo da temere io. Ma poi paura di che? Cos'è la paura? Da dove nasce? La conosci veramente tu? Come si misura?
Vi dico la verità, io la paura non so cos'è.



Ma non nel senso di Rambo "Ehi, datemi un AK47 ed un coltello poi ci penso io".



Treccani definisce la paura " Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso..."


Attenzione.


Adesso è chiaro che esiste la paura di quando sei su un terrazzo senza parapetti ed i tuoi amici vogliono giocare al gioco della fiducia vicino alle antenne, ma la maggior parte delle volte in cui si manifesta questo "Stato emotivo" è grazie a quelle che le maggiori Università americane dopo costosissime e virtuose ricerche hanno definito scientificamente PIPPE MENTALI.


Da dove nascono queste paure? Ah i traumi.


I traumi a volte sono proprio una bella giustificazione sai?Ma io penso ai nostri nonni che hanno visto la fame, la guerra, la disperazione vera e non è che non hanno amato, vissuto, lavorato e sudato perché avevano subito un trauma.
Non mi sognerei mai di minimizzare le problematiche che ognuno di noi può aver vissuto nella sua vita, ma secondo un altro attento studio statistico (stavolta australiano) il 70% di quelli che noi consideriamo traumi, SO' STRUNZAT.
A me 'sto pensiero è nato pensando a quanto la ragione incida
 sui nostri stati d'animo.

Che se ci pensi è un controsenso no?
Hanno nomi diversi proprio per la diversa provenienza. Cioè l'anima che c'azzecca con la ragione?

Il problema è riuscire a chiudere i compartiment
i stagni che abbiamo dentro.
Un lavoro durissimo, hai presente il Titanic quando non è servito ad un cazzo? Eh così.






domenica 20 settembre 2015

Specchi

Anche stanotte non ho dormito più di 4 ore.

Ho un volto stanco ed evito gli specchi che ho in casa.
Temo il confronto con la realtà delle cose e provo a chiudermi nel mio rifugio, esploso da tempo, senza che me ne rendessi conto.

Credo sia arrivato il momento di raccogliere i miei grossi mattoni, caricarli ed iniziare a ricostruire un posto dove posso sentirmi veramente al sicuro.
Doverosa però è una bonifica di quello che resta, scartare parti di me come fossero d'amianto.

Il "nun ce pensà" ha cadenza da metronomo, batte nel cervello come la tortura cinese della goccia.
Mi rivolgo al carceriere:
- Ok, allora adesso io mi sposto, metto un bel vaso sotto a quella cazzo di goccia e vado a farmi un giro. Ci sono problemi?
- Tieni. Qui ci sono le sigarette.
- Ok grazie e salutami il tormento.
- Non voglio vederti più qui dentro cretino!

Provo sempre ad immaginare le mie scelte come dialoghi tra me ed un qualcuno che non esiste in realtà.
Forse perché riesco a razionalizzarle meglio, individuando bene i punti all'ordine del giorno.

Anche oggi un bel sole si apre sul letto, ed era bello svegliarsi così, con te.
Oggi è l'ultimo ricordo che mi concedo.

Mi auguro una buona domenica e corro allo specchio.


Lucio Dalla - Mambo



mercoledì 19 agosto 2015

Soprattutto io.

La spiaggia è quasi deserta, gli ombrelloni sono chiusi e sulla sabbia ci sono segni di vita racchiusi nei castelli di un bambino.
Castelli abbandonati.
Le onde si infrangono contro le mura e piano piano tirano via i sogni di un Principe troppo giovane per ricordare quanto fosse bello immaginare la sua Principessa.
Un fossato non basterà a difendere quei sogni.

Siamo stati tutti quei bambini, fino a poco fa. Soprattutto io.
Ora però ho una prospettiva diversa, mai con le spalle al mare.
Mi piace guardarlo e credere che alla fine di quell'immensità ondeggiante si nascondano le mie paure.
La corrente mi avvicina a tutto quello che non vorrei, e dopo aver fatto gran parte del viaggio come un materassino abbandonato ho capito che è il momento di iniziare a nuotare.

Ho un castello da difendere.


lunedì 17 agosto 2015

'Round Midnight

Non ho nessuna pretesa su quello che sto per scrivere.
Stasera però ho voglia di permettere a qualcuno di sbirciare dalla mia serratura, consapevole che ciò non porterà a nulla, o almeno nulla di davvero entusiasmante.
C'è un'aura di malinconia leggera intorno a me, tipo nuvola di Fantozzi, però meno umida.

Ancorato ai ricordi di una vita, provo a mettermi su una di quelle sedie degli arbitri di tennis, solo per vedere meglio e preparare una strategia.

Che poi a cosa cazzo servono queste strategie? Arriva sempre qualcuno che con un phon glitterato fa volare tutte le carte, e tu non puoi fare altro che abbassarti, raccogliere tutto e provare a ricomporre l'ordine.

Scegliere di fissare cosa vuoi e cosa non vuoi, con dei chiodi, lunghi e resistenti.

Cosa odi e cosa ami.
Credo di amare me stesso, di nuovo. Almeno ci provo, non so farlo come dovrei.
Faccio cazzate su cazzate e mi sento in uno di quei dungeon in cui provi ad uccidere il boss mille volte e solo quando non ti impegni ci riesci.
Intrappolato dalla mente più che dalle capacità.

La musica, per fortuna c'è lei:
Miles Davis Quintet - 'Round Midnight (1956) 
Il quintetto che ha rivoluzionato il mondo (l'esecuzione originale di questo classico lo dimostra).

Miles Davis (trumpet), John Coltrane (tenor sax), Red Garland (piano), Paul Chambers (bass), Philly Joe Jones (drums), Gil Evans (arrange)






Nel frattempo vorrei aggiungere alla lista altre cose che odio:

Le strategie, i progetti, i piani di studio, il futuro, la fissità, la non-reazione, il ciclismo, quelli che saltano la fila, i consigli banali, chi urla, i palestrati, i procuratori sportivi, i filtri Instagram, Fedez, "l'ho letto su Facebook", i provocatori e quelli omologati.

E quest'è, vi avevo avvisati.
Nessuna pretesa.




martedì 16 giugno 2015

L'angolo invisibile.

Da pochi minuti ho lasciato il mio involucro notturno e nell'aria c'è odore di foglie bagnate.

Corro al mio treno, sono in ritardo.
Intorno a me come sempre facce stanche nascoste bene dal trucco si alternano ad occhi semi-chiusi mascherati da enormi occhiali da sole con dita che scorrono già velocissime sui vetri degli smartphone.
Poi il gioco che fanno tutti: immaginare le vite altrui.
Perchè nell'era delle app che riconoscono gli sconosciuti, a me piace ancora immaginare soltanto i loro nomi, capire il loro lavoro dalle mani e cose così.
Uomini in doppiopetto che nel taschino ci infilano un tessuto scadente al pari dell'ego, lasciando alla tasca interna il posto per le insicurezze che non possono mostrare. La cravatta ha in ostaggio tutte le loro ambizioni da multinazionale.

Hanno paura di fallire.
Mostrano la loro insicurezza con un tono di voce da televendita con l'entusiasmo da materassi.

Poi uno si scusa per il ritardo, il treno ha dei problemi tecnici ed è fermo in un posto che somiglia a come immagino io il futuro, tra cent'anni tipo.
Palazzi grigissimi, gru ferme con carichi sospesi e automobili scolorite, ferme lì da chissà quanti anni, tipo Ken Shiro.
Vedo immagini di una quotidianità che ci svuota dall'interno e gratta sulla porta della felicità, senza riuscire mai ad entrare.
Una bambina si lancia verso la madre, i colori sgargianti della gonna stonano rispetto al viso stanco della donna, che però l'abbraccia forte e sorride come non pensava di fare vista la levataccia.
Il mio angolo sembra invisibile, non che mi dispiaccia eh, è invisibile di proposito.

Nel mio taschino ho messo un blocchetto ed una penna.
Bill Evans porta su e giù i miei pensieri come archi da acquedotto romano e si piantano al centro della mia mente con la mano che fluidamente annota cosa c'è da riordinare nella mente.

Sono in ritardo.
Chissenefotte, in realtà non sono qui.
Oggi è tipo il 1961, sono a New York al Sunday at the Village Vanguard e sul palco c'è il Bill Evans Trio.
Si sente anche il pubblico che discute durante il concerto, che applaude, si emoziona e vive.
E in un angolino ci sono anch'io, invisibile ovviamente.





Bill Evans Trio - Sunday at Village Vanguard [1961]

mercoledì 25 marzo 2015

Il deserto.

Ho spento la luce, messo su qualche candela ed un pezzo già suona nell'amplificatore.

Quando mi metto qui a scrivere c'è sempre un motivo, la testa mi bolle come magma denso, rosso e vivo.
I pensieri forzano le serrature e spalancano la coscienza con violenza, sanno già che c'è qualcosa e non sarò qui a suonare per loro certo, lascerò il mio cappello.
Il deserto mi attende, facile perdersi e facile impazzire.

Ho fatto il pieno certo, e non sono così scemo da partire senza il mio cappello.
Qualcuno l'ha visto?  I pensieri l'hanno preso. Ingoiato. Digerito.

Ok, Ora bisogna affrontarsi.
Quella stanza non ha più niente di mio, sembra ghiaccio e qui è deserto.

- Ho capito perchè siete qui, ora parlerò con voi, a patto che mi restituiate il cappello.
Ok - dissero.
- Io non ho paura di affrontarvi ok? Sembra tutto un gioco troppo grande e non abbiamo il coraggio di salire sulla giostra.
Non è malafede, è che salgo solo quando so di divertirmi. Mi capite vero?
- Certo che capiamo, noi siamo te, solo senza paure.

Rispose un imbarazzato silenzio e poi il buio.
La candela è consumata, meglio prenderne un'altra. Torna la luce e non ci sono più. Le paure.







venerdì 9 gennaio 2015

Bocca salata: un pensiero per Pino Daniele.

Volevo trovare una canzone fuori dalla banalità e dal sentimentalismo classico che piace a noi.

C'ho messo davvero tanto tempo per scegliere, ed ho scelto solo nel momento in cui ho pensato cosa starà pensando adesso Pino, adesso che non c'è più, magari ci sfotte.

Poi ho scelto.
Forse è la visione più umana e tremendamente ironica che si potesse avere sul Paradiso o presunto tale, ma il punto di vista è davvero magnifico.

Il padrone, capo in terra del mio tempo e delle mie mani e la speranza che forse da morti si starà meglio senza dover lavorare.

"Ma che vi siete messi in testa?
In paradiso si deve lavorare!"

'O Padrone - Pino Daniele

Avrei davvero molte cose da dire sul Pino musicista e autore ( forse lo farò in un secondo momento), vorrei però soffermarmi su ciò che Lui è stato per me in quanto rappresentante perfetto del nostro essere Neri a metà; con una cultura, quella partenopea, densamente miscelata di sapori, odori e suoni provenienti da tutto il Mondo.


In realtà io questa cosa non avrei voluto neanche scriverla.
Non sono stato io a decidere, o almeno non l' "io" razionale che esiste forse dentro di me.

Ho letto di un sacco di ricordi, pensieri, citazioni, elogi, offese, campanilismi e che Napoli avesse dimenticato Pino Daniele come fa con un calciatore o una moda che dovrà pur passare.

In realtà Pino non se n'è mai andato, lo ritrovi nei gesti, nelle parole, nei sorrisi e soprattutto nei pianti di tutti i napoletani: è praticamente diventato parte del nostro linguaggio, come il Voi al posto del Lei, Pulcinella e questo fatto che ci piace gesticolare mentre parliamo.

Non ho la presunzione di scrivere la verità assoluta su Napoli, i napoletani e come vivono le cose, volevo solo dire la mia con grande rispetto e perchè anche io cammino 'ca vocca salata.


'O Signore nun dà duje sorde Dice sempe 'e prià' Ca prianno 'a Maronna Ca 'ncoppa 'a terra po' cagnà

... e allora priammo Pinù.