domenica 10 novembre 2013

Avevo il 6.

Ricordo delle ginocchia sbucciate 365 giorni all'anno, perchè quel pallone non doveva entrare.

Il tocco per fare le squadre.
Un sogno che si ripeteva ogni giorno, anche se la signora del secondo piano non voleva, ricordo il suo pollice verde e i vasi che volavano sui bambini che le facevano i pernacchi.
"Ora scendo e ve lo schiatto proprio questo pallone!"

Mamma si affaccia e mi chiama, è ora di cena.
"Cià uagliù, ci vediamo domani! Enzo non ti dimenticare il pallone".

Ricordo l'odore delle scarpette nuove. Le mie prime scarpette furono delle Diadora rosse, così piccole che ora non mi ci entrerebbe neanche una mano, ero davvero piccolo.
L'allenatore e la mia prima maglia.
Avevo il 6.

Alle partite c'era sempre più gente. Eravamo tutti forti.
L'importante è essere sempre un TUTTI, questo mi hanno insegnato da bambino, come lo spartano che protegge il fianco del fratello in battaglia.
La domenica mattina, il sole non ancora caldo, la polvere che ti entrava in gola, la maglietta sudata e le ginocchia sbucciate, solo per vincere e divertirmi, perchè se perdi non ti diverti mai.

Il mio idolo era Baresi, l'alieno Re dell'anticipo.
Non si gioca più con il libero.

Ricordo mio padre che seguiva le mie partite, tutte, senza aver mai detto un "Bravo Claudio", spronandomi a dare sempre il massimo, perchè non avevo fatto ancora nulla.

Ricordo le vittorie, quelle delle lacrime, perchè nessuno ci credeva.
Sono troppo piccoli, dicevano.

Saremo anche piccoli, ma siamo TUTTI.

Ogni volta che guardo le mie cicatrici, non ne rimpiango neanche una, perchè quel pallone non doveva entrare.

Nessun commento:

Posta un commento